Mindfulness

Il metodo Mindfulness in psicologia

CHE COS’È?

Nata dal lavoro pionieristico trentennale di Jon Kabat-Zinn, professore di medicina presso la University of Massachusetts e dall’impegno scientifico di personalità come Segal, Williams, Teasdale e Santorelli, ha avuto un larghissimo seguito sia nell’ambito della medicina che in ambito psicoterapeutico. Il perno delle applicazioni consiste nel potere liberatorio della consapevolezza. Più recentemente tuttavia le applicazioni si sono estese all’ambito educativo e organizzativo come proposta di un vero e proprio stile di vita più salutare in quanto più consapevole.

La Mindfulness (in italiano consapevolezza) sostiene che per vivere bene e prevenire il malessere occorra concentrarsi sul presente, sul qui ed ora.

Secondo Jon Kabat-Zinn, è una specifica modalità di vivere l’esperienza interna ed esterna con attenzione consapevole, senza giudicarla, accogliendola e accettandola momento dopo momento così com’è, senza identificarsi nei propri contenuti mentali. Si tratta dunque di uno “stato” mentale e di un “tratto” in quanto attitudine. (Kabat-Zinn 1994, p.16).

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IL PRINCIPIO DEL NON FARE

La pratica della consapevolezza addestra a stare con l’esperienza interna ed esterna del momento senza cercare di modificarla in alcun modo (il non fare). Questo permette alla persona di vivere pienamente e consapevolmente, di osservare quello che sta accadendo, di conoscerlo e comporta quindi una visione più chiara del momento presente (conoscere le condizioni atmosferiche del momento). Inoltre la pratica giornaliera porta a una maggiore conoscenza di se stesso, da una parte delle proprie intenzioni, dei propri desideri e scopi e dei propri valori personali, e dall’altra, a una maggiore conoscenza del funzionamento della propria mente (giudicare e reagire automaticamente) e dei propri stati mentali (contenuti e qualità). La capacità di fermare la reazione automatica e di farsi una visione più chiara del presente insieme alla conoscenza accettante di sé e del proprio progetto esistenziale, permette una gestione del momento più efficace e funzionale al proprio benessere.. Alla stessa maniera nella vita il piano di azione può comportare fare per modificare o aspettare senza fare. Questo va deciso di volta in volta sulla base di una visione che comprenda il momento presente, le conseguenze delle azioni, gli scopi importanti a breve e a lungo termine. La pratica mindfulness aiuta ad avere questa consapevolezza momento per momento tutte le volte che è necessario.

1. Il fermarsi o “non fare”, non entrando nelle reazioni automatiche mentali, comportamentali e somatiche o sapendone uscire accorgendosene, non giudicando e lasciando andare.

2. La consapevolezza accettante o accettazione del momento attuale interno ed esterno, del funzionamento della mente e di se stessi con il proprio personale progetto esistenziale fatto di desideri e scopi a breve e a lungo termine e di valori personali.

3. A questi fattori va aggiunto il “fare consapevole” ovvero il piano d’azione che viene dopo il non fare, è progettato sulla sua base e, se ritenuto utile, può consistere nel continuare a non fare.

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GLI 8 PILASTRI PER VIVERE MINDFUL

La Mindfulness detta “modalità dell’essere” o del “non fare” (Kabat-Zinn 1990) per la caratteristica del vivere tutto ciò che viene senza fare niente per cambiarlo, andarlo via o per trattenerlo, ma lasciandolo essere e lasciandolo scorrere.

Vivere mindful significa avere autoregolazione nell’attenzione, ossia avere l’abilità di dirigere l’attenzione al momento presente e l’attitudine con cui lo si fa, fatta da curiosità, apertura e accettazione (Bishop et al. 2004). Queste componenti insieme permettono alla persona di relazionarsi in una maniera mindful alle proprie esperienze (con consapevolezza, accoglienza e accettazione).

8 PILASTRI

Gli atteggiamenti specifici – ovvero gli otto pilastri – sollecitati per affrontare e portare avanti la pratica della consapevolezza e sviluppati attraverso la pratica stessa sono:

1) il non giudizio;

2) la pazienza;

3) la mente del principiante;

4) la fiducia;

5) il non cercare risultati;

6) l’accettazione;

7) il lasciare andare

8) l’impegno e l’autodisciplina.

  1. fa riferimento alla sospensione del giudizio e all’assunzione di un ruolo di testimone imparziale della propria esperienza. Quando si presenta un giudizio (cosa questa inevitabile) non si cerca di reprimerlo né di valutarlo sbagliato, ma semplicemente di osservarlo, riconoscendo l’attività automatica di giudizio della mente umana per poi ritornare all’ancora dell’attenzione consapevole.

  2. Il secondo aspetto dell’atteggiamento funzionale alla pratica mindfulness è la pazienza, che nasce dalla comprensione e dall’accettazione rispettosa che tutto ha un corso naturale.

  3. La mente del principiante è un aspetto fondamentale: il praticante è invitato a vedere le cose come se le vedesse per la prima volta.

  4. La quarta qualità è la fiducia nella propria intuizione, nelle proprie sensazioni. Lo sviluppo della fiducia permette di raggiungere una maggiore responsabilità nella propria vita e una maggiore libertà dai propri condizionamenti.

  5. Nella meditazione la via migliore per avere risultati è non cercare di avere risultati. La meditazione è non fare. E’ particolarmente difficile perché gli essere umani automaticamente cercano risultati e confrontano il momento presente con il momento ideale, ruminando sulla discrepanza. Lo scopo da perseguire nella meditazione è non avere scopi.

  6. L’accettazione è un punto fondamentale nella mindfulness. Ogni momento viene preso e vissuto per quello che è nella sua pienezza senza cercare appunto di modificarlo “precocemente”.

  7. La mente cerca automaticamente di trattenere ciò che è gradevole o che lo è stato in qualche momento e di fuggire da ciò che è sgradevole o lo è stato. La qualità che è coltivata e aiuta nella meditazione è il lasciare andare sia l’attaccamento al piacevole che l’avversione allo spiacevole.

  8. affinché la pratica funzioni portando allo sviluppo della mindfulness come tratto e come stato e all’abilità di entrare in tale stato, sono necessari impegno quotidiano e autodisciplina.

Teasdale descrive lo stato mindful come una delle marce dell’automobile e la capacità di entrarvi come la capacità di cambiare marcia mettendo quella più utile in quel momento. Ogni marcia è utile ma non sufficiente a percorrere bene tutta la nostra strada. Alla stessa maniera lo stato mindful è funzionale in alcuni momenti ma non per tutti i momenti: bisogna sapere di avere diverse marce e saperle usare funzionalmente. Come dice la Linehan, per progettare un edificio è decisamente più utile la modalità “doing” dove prevalgono valutazione, giudizio e critica. In sintesi possiamo individuare due importanti fattori terapeutici che il percorso mindfulness comporta.

LA MINDFULNESS NON È…

NON è uno stato alterato di coscienza. NON è un modo per fuggire dalla realtà magari pensando a pensieri elevati e sublimi. Non è una tecnica di rilassamento. Non è una modalità per garantirsi un facile benessere psicofisico (che non esiste…). Non è una sorta di “spa emozionale”. Non è una forma di “buonismo” che ci spinge ad accettare tutto, ad accogliere acriticamente quello che ci accade, ad essere passivi nel nome dell’ “accettazione”. 

MINDFULNESS E RICERCA SCIENTIFICA

Una caratteristica di fondo dell’approccio della mindfulness è lo strettissimo legame organico con il pensiero scientifico e la ricerca: è nato infatti a partire da personaggi che sono scienziati, ricercatori, clinici e da subito si è sviluppata tanto sul campo, nella sperimentazione pratica, quanto a partire da scientifiche ricerche rigorose che cercano di verificarne l’effettiva efficacia e i meccanismi di funzionamento. Oggi la ricerca sui vari temi legati alla prospettiva della mindfulness è un’area molto “hot” della scienza e in espansione esponenziale, con diverse centinaia di articoli di ricerca pubblicati ogni anno sulle principali riviste scientifiche di settore.

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